Questa storia può essere sintetizzata così: da Santa Cruz de Tenerife a Santa Cruz in California, passando per la seconda laurea a Genova ed un imbarco su una nave da crociera. Eppure l’esperienza di questa ragazza nomade per passione e per vocazione nasconde molto di più: l’essenza stessa del viaggio come metafora della vita.

Anno 2012.

Guardo dalla finestra del mio beach bungalow a Santa Cruz, in California, mentre cerco l’ispirazione per raccontare di questi ultimi due anni.

Tutte le volte che mi fermo a pensare cosa è successo nel mio recente passato mi sento un po’ confusa, i tempi sembrano non coincidere, mi pare ci siano troppi ricordi, troppe cose che si incastrano, troppe deviazioni. La verità è che davvero una vita non basta, il tempo sembra poco per tutte le cose che si vorrebbero fare. Ma sembra poco anche per tutte le cose che ho già fatto!

Allora si accelera, o si vivono vite parallele, spinti da una vera e propria necessità di vedere Oltre, di andare Avanti, di imparare una nuova lingua, di fare una nuova cosa, di vedere una nuova spiaggia. Non è una fuga, non è per lasciare l’Italia. Non è per nulla di razionale. Le spiegazioni razionali vengono dopo, quando dobbiamo rispondere a delle domande. Allora siamo obbligati a rendere logiche le nostre scelte. In fondo in fondo è un istinto, parte della natura umana, forse in qualcuno è meno forte e in altri più martellante, come il colore dei capelli, la dolcezza, l’intelligenza, è scritto nei geni il tasso di nomadismo?

Correva l’anno 2010.

Dal balcone della mia casa a Tenerife

La vita si svolgeva lenta, al sole delle isole Canarie, nella mia casetta con un gigantesco balcone affacciato sul mare, più grande della casa stessa.

Si coltivavano ortaggi all’aperto, si lottava contro le cucarachas, si andava a pasear per i sentieri tra i monti. Oppure si andava a fare surf, a scoprire un nuovo anfratto, a pescare tra le infinite scogliere del nord o a Punta Teno. Bella vita, tranquilla, al caldo, pochi soldi e niente necessità di averne di più.

Giugno 2010. Poooosta! Strano che mi arrivi la posta, sono tanti anni che continuo a spostarmi che credo di non aver mai avuto il tempo di ricevere la posta! Chissà quante lettere non lette sono arrivate alle mia decine e decine di domicili nel mondo mentre io intanto vivevo già più in là.

Poi qui, in questo paese da poche centinaia d’anime, in questo vicolo sterrato nascosto da tutti, su quest’isola persa nell’Oceano. Eppure a quanto pare il postino conosce l’indirizzo. Naturalmente ha consegnato la posta alla proprietaria che vive accanto. Un’anzianissima venezuelana che ha visto morire marito, figli, alcuni nipoti. Forte, fiera, piena di tutto quel mistero e folle rispettabilità che solo i vecchi lupi di mare (e di mondo) hanno. Rudi e chiusi eppure tanto dolci e pronti a difenderti al di fuori di ogni convenzione. Non ho il cognome sulla porta, come al solito. Mi dico sempre che prima o poi dovrei metterlo.

Hey l’ho messo qui in California? Eh no..nemmeno qui. Strana coincidenza, anche qui la posta non mi arriva mai direttamente. Me la porta la vicina che sa chi sono. Oggi è passata per dirmi -Hey il postino lascia la posta nella mia cassetta va bene se te la metto sempre qui?- ed io -Benissimo grazie!- Ho sempre bisogno di un qualsiasi elemento geograficamente più stabile di me per poter ricevere la posta, per gestire la burocrazia.

Quel giorno a Tenerife ricevetti un pacco dagli Stati Uniti. Il cuore accelerò anche se non aspettavo nulla. Come un regalo a Natale, come una qualsiasi cosa da scartare. Era bello ricevere lettere, peccato che ora le lettere siano solo bollette.

Il Kentucky Consular Center? Che diavolo è?

Per un momento sono entrata in pre-allarme, quel momento proprio prima del panico vero e proprio in cui ancora si ha un punto di domanda nella testa ma ci si sta preparando già comunque a correre. Mi inquietavano un po’ gli Stati Uniti, mi spìano? Vogliono arrestarmi? Devo pagare le tasse anche negli Stati Uniti? Mi hanno iscritto nella lista dei terroristi? Fantasie senza senso naturalmente! (shhh devo scrivere così, potrebbero spiare quello che scrivo proprio in questo momento, comportatevi come se tutto fosse normale.)

Lei ha vinto la carta verde (riassunto conciso delle 50 pagine ricevute)!

La Carta verde per gli Stati Uniti

No, non fu gioia al primo istante. Non ci credetti subito, cioè un po’ si e un po’ no. Sapete quando siete felici, ma non sapete se dovreste esserlo e avete paura che in ogni caso non dovreste esserlo? In verità nei giorni precedenti mi continuava a chiamare un numero di New York e io non rispondevo mai. Poi mi scrissero varie e-mail: “hai vinto la carta verde!” Si certo, dicevo io. Prima non rispondevo proprio, poi ho scritto… hey come si chiamava quel ragazzo tanto tenace… aveva un nome francese… comunque gli scrissi di smetterla di fare spam o lo denunciavo, che non volevo comprare niente e mi stava dando fastidio! Allora il caro e per nulla arrendevole Jacques? Chiamiamolo Jacques in questa storia, mi scrisse:

-Ok, facciamo così, dammi il tuo nuovo indirizzo che ti mando una cosa. E cosa fu!

Ebbene si, anni prima mi ero iscritta alla lotteria: a dire il vero non ricordo più esattamente come e perché. Certamente non perché volevo andare a vivere negli Stati Uniti. Diciamo che un po’ come le talpe, mi preparo alla cieca una serie di possibili percorsi. Magari un giorno mi serviranno per trovare nuovo cibo, o per scappare, o per far scappare qualcuno.

Tra i documenti cartacei che mi sono arrivati, c’era un codice da inserire all’interno del sito ufficiale della lotteria. L’ho inserito e magicamente è comparso il mio nome. Il dubbio-paura-emozione-felicità-confusione si era trasformato in una realtà.

La cosa più incredibile è che all’epoca ero a Barcellona e avevo inserito il numero spagnolo. Poi avevo cambiato 100mila numeri di telefono nel frattempo, ma arrivata alle Canarie avevo rimesso quello spagnolo, e così sono riusciti a contattarmi (e io ho dato loro il mio indirizzo e-mail perché il ragazzo dal nome francese mi convinse a farlo). Qui parlo un po’ della carta verde per gli USA.

La seconda Laurea e l’imbarco sulla nave da crociera

Mi ero trasferita alle Canarie dopo aver vissuto a Berlino e dopo un po’ di tempo passato tra Thailandia e Malesia. Cercavo un posto caldo e non volevo fare nuovi documenti. Basta cambiare casa ogni 6 mesi di mesi e dover cercare lavoro e dover imparare una nuova lingua ogni volta… non ne avevo voglia in quel periodo. Volevo rilassarmi.

Avevo provato ad iscrivermi all’università per prendere la seconda laurea, ma bisogna fare la convalida del titolo ottenuto in Italia. 90 euro, mille e-mail e telefonate, stress e nessuna soluzione.

Credo che il mio file si sia perso a Madrid, sarei curiosa di sapere dove si trova in questo momento… Fortuna che è Europa unita giusto? Comunque alla fine per disperazione, piuttosto che stare dietro alla burocrazia spagnola, appena ho percepito che la cosa sarebbe davvero andata avanti per anni solo per farmi riconoscere la laurea italiana e poter iscrivermi all’università spagnola, ho deciso di iscrivermi in Italia. Senza però lasciare le Canarie.

Siccome i residenti canari ricevono degli sconti sui voli per la Spagna continentale, il biglietto per Barcellona mi veniva sui 20 euro. Da lì dovevo solo raggiungere l’Italia per dare gli esami. Quindi ho scelto una della città più vicine alla Spagna dove ci fosse un’università che mi interessasse: Università di Genova.

Mi sono iscritta online, i miei genitori dall’Italia mi ha aiutato mandandomi scanner e documenti e ho contattato 200 persone all’università per raccontare la mia situazione e trovare un modo di fare tutto senza esserci. Tutto bene. Quando un professore pubblicava i voti, cercavo il nome degli studenti pubblicati nella lista su facebook, li contattavo e chiedevo il programma, i libri e qualche dritta.

Il mio primo esame è stato Storia di Spagna. Non sapevo nemmeno dove fosse l’università e ho avuto la sfortuna di chiedere dove fosse la professoressa Tal Dei Tali proprio alla professoressa Tal Dei Tali! All’inizio si è inviperita… mi scusi ma Lei non è mai venuta nemmeno ad una lezione?? Poi le ho spiegato la situazione e soprattutto avevo studiato… Così ho dato qualche esame.

Alla notizia di un trasferimento negli Stati Uniti naturalmente, questo complesso e assurdo sistema di cose non poteva più reggere. Il volo dagli Stati Uniti per l’Italia è un attimino più impegnativo. Per questo decisi ad ottobre di trasferirmi a Genova per cercare di dare più esami possibile prima della partenza (avevo certe scadenze da rispettare per i documenti e le procedure della carta verde).

Passa qualche mese e leggo che cercano personale sulle navi da crociera. Ho sempre voluto farlo! Non avere una casa, non stare mai ferma, ma avere sempre un lavoro! Che sogno! In realtà lo avevo sognato quando ero molto molto più giovane, ma il fuego de la riscossa mi colpì e dimenticai l’università, gli Stati Uniti, passai la selezione di 20 su 200. Completai il corso Fire fighting, Marine survival e chi più ne ha più ne metta (eletta miss donna con le palle dall’istruttore di tipo Full Metal Jacket del corso che per la verità non amavo molto) e… beh e non mi imbarcai per quella posizione e per quella compagnia, ma per un’altra! Beh altrimenti sarebbe stato troppo logico e consequenziale.

In realtà è stato semplicemente perché durante il corso ho capito meglio di cosa si trattava e ormai mi conosco abbastanza per sapere che non era quella la posizione migliore per me, bensì un’altra che mi venne appunto proposta dall’altra compagnia. Sta di fatto che mi imbarco. La cosa più dolce è che sulla nave non c’erano posti disponibili per la crew e quindi ho viaggiato in un camera con balcone all’ultimo piano, non sui lati ma sul retro, dove la vista è ancora più bella!

Una breve parentesi perché a Giugno ero pronta per gli States. Nel senso che avevo il biglietto per San Diego. Perchè San Diego? Apri una mappa degli Stati Uniti. Elimina tutti i luoghi troppo freddi. Elimina tutti i posti senza mare. Ora elimina la Florida perché c’è troppa afa e troppo “Miami style” (e troppi uragani). Cosa resta? Questo è stato l’intenso procedimento di scelta.

Non avevo una casa, non avevo un lavoro, non avevo un appoggio, ma tutto si è risolto magicamente. Mi ricordo una sciocchezza. Al primo anno di liceo, insieme ad un’amica, mi sono ‘persa’ in corridoi che non percorrevamo mai, e ci siamo trovati in una zona che sembrava chiusa, privata. Avevamo l’impressione di essere in una nuova zona, dove non eravamo ammesse, quasi avevamo paura. In realtà non era che una semplice, normalissima, area della scuola. Con gli anni quel luogo segreto, nascosto e dove non saremmo dovute essere, divenne solo un corridoio in più e una porta per uscire ed entrare.

In qualche modo mi torna in mente tutte le volte. Ormai tutto il mondo è quel corridoio e quella porta, solo che io so già che sono solo un altro corridoio e un’altra porta. Just another place, non qualcosa di nuovo e proibito.

La mia California

La mia esperienza a San Diego è stata positiva, ho trovato casa e lavoro facilmente, ho trovato almeno un paio di amiche uniche al mondo. Ma non era il posto per me, non mi piaceva. Tutti i miei tentativi di vederci il bello non erano che tentativi forzati di farmi piacere un posto che, a pelle e nel cuore, non mi piaceva! Con la ragione puoi trovare mille giustificazioni per difendere i pro di un luogo, ma se la tua anima don’t feel the call, semplicemente you can’t fool it.

Sono poi dovuta tornare in Italia per dare altri esami a Genova. Giunto il momento di tornare a San Diego, dove avevo almeno qualche amico e un lavoro, di nuovo mal di pancia e strette di stomaco. No! Io non ci voglio tornare! Così ho comprato un furgone di seconda mano e 170mila km, un dodge RAM, il suo nome è Glory. E via, senza meta, senza sacco a pelo, senza bagno!

Ho lasciato il lavoro con l’idea di raggiungere New York, ma nemmeno tanto quell’idea. Senza mappa, senza GPS, senza lista di tappe da fare. Senza guida, senza leggere internet (No smartphone! No internet! No party!) Via, via di qui. La leggenda americana on the road è ancora viva, non è solo un mito o un percorso turistico, eccola, io la sto vivendo: un futuro da scrivere, la strada e nulla più.

Al tempo non avevo nemmeno una coperta o delle lenzuola, né avevo pensato a portare l’acqua. 100% no organization. Sono un disastro.

Domenica, 21 ottobre 2012.

Guardo dalla finestra del mio beach bungalow a Santa Cruz. Coltivo il mio orto, cerco di far crescere l’erba in giardino. Combatto con le talpe e cerco di convincere un procione a traslocare sotto (o sopra) ad un’altra casa. Lavoro a Cupertino, da San Diego mi chiedono lavori da freelancer. Qualche volta lavoro a San Francisco. Settimana scorsa ho lasciato un lavoro perché ne avevo troppi. La settimana prossima comincio un nuovo lavoro.

Ai giovani italiani non posso che dire, non abbiate mai paura. Anzi, ho sbagliato. Non aver paura è impossibile, ma non fatevi mai fermare dalla paura. Che la paura decida per voi è la cosa peggiore che vi possa capitare. Tutto il resto è semplicemente vita.

Una citazione da uno dei libri che ho preparato per letteratura americana: “The sadness of sophistication has come to the boy. With a little gasp he sees himself as merely a leaf blown by the wind through the streets of his village. He knows that in spite of all the stout talk of his fellows he must live and die in uncertainty, a thing blown by the winds, a thing destined like corn to wilt in the sun.

L’altro capo del mondo è solo un corridoio che ancora non conoscete, in voi c’è tutta la forza necessaria per accettare l’incertezza e domarla con la fantasia.

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